Sviluppo insostenibile
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"La specie umana costituisce attualmente una causa di mutamenti di proporzioni geologiche. Spostiamo intere montagne per estrarre minerali, modifichiamo il corso dei fiumi per costruire citt� nel deserto, bruciamo foreste per dare via libera alle colture e alle mandrie e alteriamo la composizione chimica dell�atmosfera sbarazzandoci dei nostri rifiuti. Per mano dell�umanit�, la Terra sta andando incontro ad una trasformazione profonda e gravida di conseguenze che non siamo in grado di comprendere appieno. Stiamo arrivando al punto che, con i nostri tentativi di indurre la terra a produrre di pi� per noi, quello che otteniamo � invece una diminuzione della capacit� di sostentamento di qualsiasi forma di vita, uomini compresi." (Sandra Postel)
Fin dalle loro origini, le societ� umane hanno prodotto alterazioni di qualche tipo sul pianeta; la novit� storica � rappresentata dal ritmo e dalle proporzioni del degrado che ha avuto inizio verso la met� del secolo e che continua tuttora. La questione cruciale dello sviluppo sostenibile, inteso come uno sviluppo "che risponde ai bisogni del presente senza compromettere le possibilit� per le generazioni future di soddisfare i loro propri bisogni" (WCED, 1987, pag.8), si pone in modo fin troppo evidente. Possiamo riscontrare varie prove del fatto che il mondo � avviato su una strada economica insostenibile dal punto di vista ambientale. La popolazione mondiale � aumentata da 1,5 miliardi nel 1900 agli attuali 5,6. Il mondo industrializzato, con il 15% della popolazione, consuma il 52% di tutta l�energia utilizzata. Circa il 90% di tutta l�energia commerciale consumata � basata su fonti di risorse fossili non rinnovabili. L�11% del suolo fertile � stato eroso, alterato chimicamente o compattato fisicamente in modo da danneggiare le sue originarie funzioni biologiche. L�area forestale � diminuita di circa 15,4 milioni d�ettari per anno e dal 4 all�8% delle specie di foreste tropicali rischiano l�estinzione nei prossimi 25 anni. Alla fine degli anni novanta quasi la met� della popolazione mondiale che vive nelle citt� (oltre un miliardo di persone, in continuo aumento) � esposta a livelli pericolosi d�inquinamento urbano, dovuti alle emissioni di biossido di zolfo, ossidi d�azoto e altri composti.
Un indicatore, valido e significativo, dello stato di salute del pianeta pu� essere rappresentato dal declino della popolazione di uccelli. Secondo la Bird-Life Internatinal, nel 1995, delle 9600 specie esistenti, solo 3000 riuscivano a mantenere la loro consistenza numerica, le altre 6000 erano in declino. Fra queste ultime, le popolazioni di circa 1000 specie erano diminuite a tal punto da essere minacciate d'estinzione. Le cause precise di questo fenomeno sono diverse, ma comprendono la deforestazione, in particolare ai tropici, il drenaggio delle zone umide per usi agricoli e abitativi, l�inquinamento dell�aria e dell�acqua, le piogge acide e per alcune specie, la caccia. Secondo i lavori dell�IPCC (Panell Intergovernativo sui Mutamenti Climatici) dal 1750 al 1990 la concentrazione nell�atmosfera dei cosiddetti gas serra, tra cui l�anidride carbonica (CO2), il metano (CH4), e l�ossido di azoto (N2O) � aumentata in modo sensibile. Queste maggiori concentrazioni hanno perturbato l�equilibrio energetico del sistema terra � atmosfera, generando un aumento della temperatura media (fra 0,3 e 0,6 ) ed un innalzamento del livello dei mari (tra 10 e 25 cm negli ultimi 100 anni). Questo processo si � momentaneamente interrotto nel giugno del 1991 con l�eruzione del monte Pinatubo. L�esplosione immise negli strati superiori dell�atmosfera grandi quantit� di aerosol di solfati diffusisi velocemente intorno al globo. Da quella posizione gli aerosol riflettevano all�esterno una piccola quantit� di luce solare incidente, tanto da determinare un effetto di raffreddamento. All�inizio del 1994, tuttavia, quasi tutti gli aerosol si erano depositati, lasciando via libera alla ripresa della tendenza al riscaldamento. Serie preoccupazioni riguardano le riserve d'acqua dolce. Anche se l�offerta annuale d�acqua dolce, di superficie e di fonte sotterranea, sembra sufficiente per venti miliardi di persone (circa 9000 chilometri cubi a livello mondiale), vi sono problemi che derivano dall�inquinamento e problemi di distribuzione geografica. Sulla base di un ampio monitoraggio, l�UNEP afferma che le risorse d�acqua dolce oggi disponibili sono seriamente minacciate dall�inquinamento di origine organica (tra cui i nitrati ed i fosfati) e industriale (metalli pesanti, prodotti sintetici della chimica; pesticidi). La situazione appare critica in Europa, meno grave in altre aree. Sul piano della distribuzione geografica, gran parte del Medio Oriente, del Nord Africa, e alcune regioni della Cina e dell�America Centrale scarseggiano di risorse idriche: ad esempio nella Cina settentrionale un periodo prolungato di siccit� e le conseguenti ristrettezze idriche hanno fatto sorgere degli interrogativi sull�opportunit� di mantenere Pechino come capitale della nazione e hanno riproposto il dibattito sulla costruzione di un canale lungo 1400 km per trasportare l�acqua dal Sud alle regioni settentrionali, in condizioni idriche deficitarie. Il pescato mondiale, aumentato di oltre quattro volte nell�arco di quaranta anni, ora non � pi� in crescita, e questo sembra dovuto al fatto che le zone di pesca oceanica non sono in grado di sostenere una pesca maggiore. L�effetto combinato dell�inquinamento e dello sfruttamento eccessivo delle zone di pesca sta uccidendo molti mari interni e molti estuari costieri. Il lago d�Aral, ad esempio, un tempo produceva 44.000 tonnellate di pesce l�anno; il consistente storno d�acqua fluviale a fini irrigui ha causato la riduzione della sua massa idrica, aumentandone la salinit� e rendendo il sale un inquinante a tutti gli effetti; tutte le 24 specie ittiche che erano oggetto di pesca a fini commerciali sono ormai da ritenersi estinte. Il Mar Nero, punto di scarico del Danubio, del Dnestr e del Dnepr, costituisce il deposito degli inquinanti di mezza Europa. Nel 1995, in questo mare rimanevano solo 5 delle 30 specie su cui contavano precedentemente le forme di pesca commerciale.
La dilapidazione del capitale e l�inquinamento dell�aria e dell�acqua hanno raggiunto in molti paesi un livello tale da avere chiari e negativi effetti economici, quale il calo della produttivit�, dei posti di lavoro e delle esportazioni (vedi Tabella 1). Si possono citare ad esempio la pesca e la deforestazione. Nel primo caso, la diminuita produttivit� delle zone di pesca ha determinato un aumento del prezzo del pescato ed una conseguente diminuzione dei posti di lavoro. Nel secondo caso l�abbattimento totale di foreste tropicali a legno duro ha provocato la quasi completa distruzione di questa risorsa naturale in alcuni paesi in via di sviluppo, con effetto devastante sulle loro economie. La Costa d�Avorio, ad esempio, ha avuto una fenomenale espansione economica negli anni �60 e �70 quando le sue ricche foreste tropicali di legno duro fornivano una resa in grado di garantire all�esportazione un guadagno di 300 milioni di dollari l�anno. Il paese divenne un modello di sviluppo per il resto dell�Africa ma, come nel caso di molti paesi che non adottavano sistemi sostenibili di selvicoltura, l�abbattimento a tappeto ne decim� le foreste: le esportazioni agli inizi degli anni novanta erano scese a 30 milioni di dollari per anno. La perdita di questa fonte di ricchezza e d�occupazione unita ad altri fattori ha fatto s� che il reddito pro capite si riducesse, dal 1970 al 1994, di circa la met�.
A pochi passi dal duemila diventa quindi un imperativo categorico quello di fare il possibile affinch� possa concretizzarsi un�economia mondiale ambientalmente sostenibile. Per raggiungere questa meta sono importanti tante azioni e strumenti operativi. In primo luogo � necessario dotarci d'indicatori globali della sostenibilit� che consentano di monitorare i progressi concreti fatti dalle politiche internazionali, nazionali e locali verso gli obiettivi di sostenibilit�. Diversi istituti di ricerca stanno lavorando a questo: il Wuppertal Institute per il clima, l�ambiente e l�energia, sta lavorando sul concetto di "spazio ambientale", originariamente elaborato dall�economista olandese Jan Opschoor, definito come le quantit� di energia, acqua, territorio, materie prime non rinnovabili e legname che pu� essere utilizzato in maniera sostenibile. Lo spazio ambientale disponibile rappresenta il tetto massimo d�uso delle risorse che possono essere utilizzate in modo diverso per soddisfare i vari tipi di domanda in ciascun paese. L�uso consentito di spazio ambientale pro capite deve rispondere ai principi d�equit� e di giustizia sociale.
Un altro indicatore globale di sostenibilit� scaturisce dal lavoro svolto da una quindicina d�anni dall�ecologo William Rees della British Columbia University, perfezionato con Mathis Wackernagel (Universit� Anauhac de Xalapa, Messico), ed illustrato in "L�impronta ecologica come ridurre l�impatto dell�uomo sulla Terra". Il metodo dell�impronta ecologica consente di calcolare la superficie degli ecosistemi produttivi necessaria per sostenere a lungo termine i consumi di un individuo, di un gruppo, di una comunit�, di una nazione, tenendo conto dei prevalenti sistemi produttivi, delle tecnologie e dell�organizzazione sociale. L�impronta parte dal presupposto che ogni categoria di consumo d�energia e di materia e ogni emissione di scarti ha bisogno della capacit� produttiva o d�assorbimento di una determinata superficie di terra o d�acqua. Se sommiamo i territori richiesti da ogni tipo di consumo ed emissione di scarti di una popolazione definita, la superficie totale che otteniamo rappresenta l�impronta ecologica di quelle popolazioni sulla Terra, indipendentemente che la superficie coincida con il territorio su cui la popolazione vive. In breve il metodo dell�impronta ecologica misura la superficie di territorio richiesta da ogni persona (o popolazione) rispetto alle sue modalit� d�uso e consumo d�energia e beni naturali. Wackernagel e Rees hanno calcolato l�impronta ecologica media pro capite della popolazione mondiale di 1,84 ettari di ecosistemi produttivi terrestri. Per quanto riguarda le singole nazioni: Stati Uniti 6,2 ettari pro capite, Canada 5,0 ettari, Olanda 3,2, Messico 1,41, India 0,4, Italia 3,1, (di cui 2,21 ettari di sistemi ecologici terrestri e 0,9 ettari di sistemi produttivi marini). Disporre d�indicatori globali di sostenibilit�, come pu� essere l�impronta ecologica, pur nei suoi ovvi limiti, fa s� che il concetto di sostenibilit� risulti meno vago ed aiuta a capire quali siano i tetti di consumo oltre il quale non si pu� andare. � del tutto evidente che le impronte ecologiche dei paesi industrializzati necessitano di una riduzione, in certi casi senza dubbio cospicua. L�altro aspetto importante, su cui � necessario soffermarsi, riguarda l�ormai ineludibile mutamento che deve esserci nei classici indicatori economici dello sviluppo e benessere. I sistemi di contabilit� nazionale oggi in funzione e gli indicatori da essi derivanti, come il Pil, sono totalmente inadeguati a fornire informazioni attendibili sullo stato di salute e la sostenibilit� di un�economia e, ancor pi�, a fornire una misura, anche indiretta, del benessere. Tra i nuovi indici di benessere proposti possiamo citare il MEW (la misura del benessere economico) di Nordhaus e Tobin (1972) e l�indice di benessere sostenibile (ISEW) realizzato da Herman Daly e John Cobb. Quest�ultimo � di particolare interesse ed � gi� stato applicato in diversi paesi (come Gran Bretagna, Stati Uniti, Olanda, Austria, Germania). Il WWF Italia con gli economisti della Fondazione Enrico Mattei, ha elaborato un Indice di Benessere Sostenibile (denominato Ribes) per l�Italia, analogo all�ISEW, riferito agli anni 1960-1990. Ribes contiene 21 variabili, 14 economiche e sociali e 7 ambientali, non considerate nel calcolo del Pil. Come si pu� vedere nella figura 1, i due grafici del Pil e del Ribes italiani confrontati per il periodo considerato dimostrano come il secondo diverga progressivamente dal primo mostrando un tasso di crescita annuo pi� basso. Una prima analisi dei risultati conferma anche per il nostro paese quanto gi� osservato per altri paesi europei e per gli Stati Uniti, vale a dire che, dagli anni ottanta, la crescita del benessere non accompagna pi� necessariamente quella del Pil.
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